
Negli ultimi anni, sta crescendo l’interesse verso il vino, soprattutto se di qualità. Sempre più persone lo consumano e lo comprano con la convinzione di saper riconoscere e valutare le sue caratteristiche gustative.
Oggi giorno è possibile trovare un buon vino anche nel supermercato sotto casa. Ma sappiamo realmente il significato delle sigle apposte sulle bottiglie che scegliamo, ritenendole di qualità, o lo facciamo per sentito dire?
Qual è il vino buono?
Partiamo con il precisare che il vino “migliore” non per forza è legato ad un determinato tipo di certificazione ma piuttosto una preferenza soggettiva che varia da persona a persona.
Queste sigle sono certamente un sinonimo di qualità, ma garantiscono prevalentemente la territorialità del prodotto e delle uve e quindi ci assicurano la loro provenienza.
Le certificazioni riconosciute nel mondo dei vini (a differenza di quelle del cibo di cui abbiamo parlato nell’articolo Certificazioni di qualità: come riconoscerle?)sono tre: DOCG, DOC e IGT.
Ma cosa ci garantiscono?
Partendo dall’IGT (Indicazione Geografica Tipica), questa indica i vini prodotti in un’ampia area geografica(solitamente regioni o province), che possiedono qualità, notorietà o altre peculiarità attribuibili a tale area.
Il disciplinare che li regolamenta è meno restrittivo rispetto alle altre certificazioni, la cosa importante è che le uve utilizzate provengano per l’85% da quel determinato territorio.
Questo non esclude la possibilità di produrre vini di altissima qualità.
In Italia sono presenti 118 vini IGT. Un esempio è “Le Volte” della Tenuta dell’Ornellaia (Toscana IGT). Questo vino ha vinto numerosi premi in varie annate tra cui, nel 2018, un 92/100 Robert Parker, uno dei più noti riconoscimenti nel mondo del vino.
Dal 2010 la classificazione IGT è stata inserita nella categoria Comunitaria IGP.
La DOC punta all’eccellenza, ci garantisce che il vino è stato prodotto in una zona ben precisa.
Come esempio possiamo prendere un Bolgheri Sassicaia, zona delimitata nel comune di Castagneto Carducci, con vitigni e uve di una specifica varietà (almeno l’80% di Cabernet Sauvignon e altri vitigni a bacca rossa riportati nel disciplinare).
I quantitativi di uva che si possono ottenere per ogni ettaro sono riportati sul disciplinare (in questo caso non più di 7 tonnellate), così come sono regolate le tecniche di produzione, di coltura ed irrigazione della vite, le tecnologie di produzione e di invecchiamento ammesse e le caratteristiche che dovrà avere il prodotto finito (acidità, estratto secco, gradazione alcolica minima, peculiarità organolettiche).
Solitamente un vino DOC è stato un IGT per almeno cinque anni.
Al vertice della “piramide” troviamo i DOCG, la massima qualificazione presente in questo settore. Qui sono applicate tutte le regole precedentemente illustrate per la DOC, in più ci sono ulteriori restrizioni in merito alla zona e alla quantità del raccolto, del ciclo produttivo e dell’imbottigliamento.
I vini DOCG sono stati per almeno dieci anni vini DOC.
In TUTTI i vini DOCG è inoltre apportata una “fascetta”, rilasciata dalla Zecca di Stato, sul collo della bottiglia a tutela delle produzioni di eccellenza nazionale.
IGT, DOC o DOCG possono tutti arrivare ad alti livelli ed essere buoni e di grande qualità!
Insomma, non facciamoci ingannare dai passaparola!
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