Dalla soia al Cashmere… È un attimo!

Di Alessia D’Angelo (foto di Chiara Carciani)

Purtroppo, ancora oggi, non siamo riusciti a trovare soluzioni ad un fenomeno importante e di grande impatto: lo spreco alimentare.

Si parla di numeri veramente alti, quasi un terzo di quello che produciamo viene buttato.

Proprio visti questi dati, che non riescono a cambiare, il mondo sta cercando di risolvere il problema un po’ per volta, trovando soluzioni per piccole realtà.

La realtà che incontreremo oggi riguarda l’utilizzo degli scarti di soia trasformati in fibre di Cashmere.

Dall’Asia con furore

La Casimira o Casimirra (termini per identificare il Cashmere in Italia) ha un origine molto lontana, precisamente in Asia, dove vive la capra Changthang da cui viene estratta la lana utilizzata per la produzione del Cashmere.

Una capra che vive a temperature molto variabili ed imprevedibili, per questo il suo vello ha la capacità naturale di favorire la termoregolazione rispetto all’ambiente esterno, caratteristica molto importante che ritroviamo nella fibra del Cashmere.

Una soluzione alla capra

Ma vi starete chiedendo perché nel titolo c’è scritto soia? Semplice! La Casimirra non è prodotta solo dal vello delle capre, ma può essere ricavata anche dagli scarti della soia, precisamente dai residui delle bucce e dei baccelli.

Oggi la soia è uno dei prodotti alimentari più coltivati nel mondo, una pianta rinnovabile, che richiede pochi pesticidi e contribuisce a fissare l’azoto nel terreno, costituendo un valido componente per la coltura a rotazione.

Parlando di spreco, questo è un vero e proprio metodo per riciclare scarti di produzione, che purtroppo non potrebbero essere riutilizzati neanche al livello culinario.

Visto il metodo di produzione utilizzato e l’origine, questo tessuto prende il nome di Cashmere Vegetale o Seta di Soia per essere distinta da quella animale.

Dove tutto ebbe inizio…

Henry Ford fu il primo a intuire un possibile utilizzo della fibra di soia, ma quando le cose si fecero complicate, causa della difficoltà del processo per la produzione, abbandonò l’idea.

Solo nel 1999 un industriale e scienziato di Shanghai, Li Guanqi, riuscì a superare le difficoltà incontrate in passato, mettendo a punto la Soybean Protein Fiber, un tessuto utilizzabile per abiti quotidiani ma in particolare per la produzione di biancheria intima ed abiti da sera molto pregiati.

Lavorazioni importanti ma risultati sorprendenti!

Dopo lavorazioni molto complicate che richiedono attenzione ad ogni dettaglio, una successiva filatura e tessitura la fibra di soia risulta estremamente soffice, brillante e piacevole al tatto.

Inoltre, è resistente, dotata di proprietà antibatteriche, poco infiammabile, traspirante, permeabile allaria e in grado di bloccare le radiazioni UV.

E chi più ne ha più ne metta! I capi in tessuto di soia si lavano tranquillamente sia a mano che in lavatrice e spesso non richiedono neanche la stiratura per essere indossati!

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