Con le feste dietro l’angolo e lo spirito natalizio già nell’aria, insieme al panettone e i ricciarelli (leggi qui gli articoli “Ricciarelli di Siena IGP: tradizioni e varianti” e “Panettone, il dolce regale“) non poteva mancare il torrone, il dolce tipico di Cremona che si trova su tutte le tavole degli italiani in questo periodo.
Un nome, un tradizione
Ci sono diverse le teorie riguardo l’origine del torrone. Una delle più quotate ritiene che possa derivare da una preparazione di miele, albume e mandorle presente nell’antica Roma come dimostrerebbero alcuni scritti dello storico Tito Livio.
Un’ipotesi successiva collegherebbe la ricetta agli arabi che l’avrebbero diffusa nel Sud Italia e nel Mediterraneo come cibo corroborante, come indicherebbe il “Turun” riportato nel De medicinis et cibis semplicibus trattato dell’XI secolo.
Una leggenda cremonese identificherebbe il primo torrone tradizionale nel dolce speciale di mandorle e miele a forma di torre preparato dai cuochi di corte per le nozze tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza.
Di certo la parola torrone compare per la prima volta nei testi italiani di cucina del XVI secolo, come ad esempio nell’opera del Messisbugo.
Opera di molti
Il termine “torrone” sembra derivi dal latino “torreo” che significa “abbrustolire”, con riferimento alla tostatura delle nocciole e delle mandorle. Per i suoi ingredienti possiamo identificare in questo dolce, tradizionalmente regalato per il solstizio d’inverno (21 dicembre), alcuni valori simbolici: la dolcezza rappresentata dal miele, la forza con le mandorle e la rinascita (albume uovo).
Inizialmente veniva preparato dagli “speziali” (nel medioevo erano coloro che si occupavano della preparazione delle medicine nella loro bottega, definita spezieria), solo successivamente divenne opera di pasticceri e fornai. Ancora ad inizio XX secolo la barretta era preparata dai fornai al termine della lavorazione del pane.
Duro o morbido?
Ad oggi, esistono molteplici varianti di questo dolce, possono essere arricchiti con frutta secca, fichi, erbe, spezie, scorze di agrumi o cioccolato oppure semplicemente a base di pasta più o meno “dura”.
Le due varianti si differenziano sia per la cottura dell’impasto che la composizione della ricetta ed il rapporto tra il miele e gli zuccheri.
Nel torrone “duro” (anche chiamato “friabile”), la cottura è solitamente prolungata nel tempo fino a raggiungere le 12 ore ed una ricetta con un maggiore contenuto di zuccheri “solidi”, in quello morbido, invece, la cottura è più breve (solitamente non supera le 2/3 ore). Questo fattore permette di avere un’umidità dell’impasto più alta e combinato alla ricetta diversa (con maggiore percentuale di glucosio) produce un impasto più tenero e dolciastro rispetto al tipo duro.
Regione che vai, torrone che trovi
La città che rivendica la presenza più antica del torrone è Benevento che, secondo una tradizione locale, vorrebbe questo dolce già esistesse nella città nel I secolo d.C. con il nome di cupedia.
Nonostante la presenza antica, l’unico torrone in Italia, premiato con una certificazione di qualità e tradizione è quello di Bagnara (Calabria) che vanta un Consorzio di tutela ed una certificazione IGP.
Le varietà regionali di torrone sono però infinite, tra le più famose e diffuse c’è il torrone di Cremona, bianco a pasta dura, a base di mandorle; il torrone di Benevento, a pasta dura o morbida, con mandorle o nocciole; il croccantino di San Marco dei Cavoti, croccante consumato in barrette ricoperte di cioccolato fondente; il torrone sardo, morbido e dal colore avorio, dovuto all’assenza di zucchero; il torrone siciliano, croccante con mandorle e pistacchi, al profumo d’agrumi; il torrone aquilano, di consistenza morbida, con nocciole e aggiunta di cacao.
Ma, in qualunque formato o gusto il torrone si presenti, l’effetto che provoca è sempre lo stesso: un’irrefrenabile voglia di addentarlo!